DONNE DI MAGGIO A L’AQUILA
dalla testimonianza di Antonietta Lelario Cicolo La Merlettaia Foggia
Che cosa ci spinge in tante, più di 600 donne, ad andare da tutta Italia a L’Aquila, rispondendo ad una chiamata delle donne Terre-mutate?
10 novembre 2011
Cristina Mencarelli
28 settembre 2011
Associazione Evelina De Magistris Livorno
Lo scorso maggio, le donne aquilane organizzarono un incontro di due giorni, nella città "terre-mutata", tuttora distrutta e chiusa. Tanto dolore, tanta rabbia, ma anche tante riflessioni importanti e tante energie positive: e il messaggio fu "raccontatelo". Perché si pensa che l'emergenza L'Aquila sia stata in qualche modo risolta, che la gente stia nelle casette e che sia tornata la normalità. La verità è un'altra. Le terre-mutate di L'Aquila, le parole, gli sguardi e la passione lucida e l’intelligenza di tante donne, incontrate in quei giorni. “Raccontatelo”: ci abbiamo provato.
Con tante foto. Con un quaderno in cui sono raccolte riflessioni e racconti sulle terre-mutate. Con una mostra che è stata ospitata al Mercato centrale di Livorno per tutta l'estate e che, dal 28 settembre, sarà visibile nella Libreria Gaia Scienza, via di Franco - Livorno. RACCONTATELO. Guarda il video
20 settembre 2011
Associazione La rosa e la spina. Adriana
Viaggio a L'Aquila 7-8 maggio 2011. Resoconto Emozioni e Impressioni
Il nostro viaggio, quello di alcune componenti dell'Associazione Culturale la Rosa e la Spina, condiviso con altre donne di Verona, verso l'Aquila per incontrare le donne che hanno chiamato a raccolta tutte le donne italiane, per riportare i riflettori sulla loro città terre-mutata, inizia il mattino presto da Villanuova sul Clisi.
La prima tappa è la visita di una New town dove sono presenti tutti i M.A.P. moduli abitativi provvisori: "villette unifamiliari", come quelle consegnate da Berlusconi il 29 settembre 2009 e l' esperimento edilizio, che consiste nel costruire su una piattaforma sorretta da colonne, delle unità abitative in legno e cartongesso. La presenza tra noi di un architetto e di un ingegnere ci testimonia la novità assoluta di questo modulo, mai visto fin'ora, e allora ci domandiamo è un esperimento ? Già a maggio 2011, questi moduli presentano lesioni , scrostature insomma hanno già un aspetto notevolmente degradato.
Le new town sono state costruite nelle periferie in prossimità dei paesi distrutti, dove sono state collocate innanzitutto gli abitanti dei paesi distrutti , invece gli abitanti del centro storico, sono stati collocati "a caso" mediante l'uso di un software (?) con dei parametri di fatto sconosciuti. Pertanto gli abitanti del centro storico aquilano, che erano 11.000 persone, sono stati polverizzati . L'amica che incontriamo e che ci illustra la situazione dove lei , abitante del centro storico, è stata collocata ci racconta che il censimento degli abitanti del centro storico è stato fatto in 10 giorni, e ha richiesto l'accorpamento di gruppi familiari, per avere un punteggio più alto e quindi il diritto ad avere una casa più grande.
Nelle new town non c'è alcun servizio, non un negozio, non un bar, nemmeno una chiesa. Non un locale che consenta alla gente di riunirsi, uno spazio per tenere un'assemblea… ma non è una dimenticanza. Da poco è stato istituito un bus che porta in centro. L'impressione è quella di una città a ferragosto.
Il non aver previsto uno spazio comune, dico che non è stata una dimenticanza, perché l'amica che ci accompagna nella new town ci testimonia l'esperienza di militarizzazione del territorio, che è stata posta in essere sin dall'impianto delle tendopoli , dove da parte della Protezione Civile e delle Associazione di volontariato, è stato esercitato un controllo pressante al movimento delle persone, passando anche per il divieto a somministrare caffè e coca cola.
E non è stato facile per gli aquilani comprendere quel che stava accadendo: i lutti, la promiscuità a cui si era obbligati, la convivenza con centinaia di persone , l'umiliazione che nasce dall'essere espropriati di qualsiasi ruolo, l'impedimento anche alle istituzioni locali a partecipare alle decisioni ha richiesto tempo prima che, lo stato confusionale, logica conseguenza di persone che erano sotto choc, lasciasse il posto alla presa di coscienza e alla consapevolezza della militarizzazione come strumento di controllo.
E poi Il problema degli anziani e dei giovanissimi. Gli anziani, di cui molti sono ancora sulla costa, sono stati completamente privati delle loro relazioni, si segnala una grande moria di anziani all'Aquila. I giovanissimi e i ragazzini non hanno più luoghi dove incontrarsi, i centri commerciali sono diventati i luoghi di incontro.
Il momento emotivamente più coinvolgente è stata la visita al centro storico, che dal 7 maggio 2011, è stato in parte riaperto, la piazza dove gli aquilani si sono riuniti in questi mesi , a gridare la loro rabbia e indignazione è di nuovo fruibile, ma il resto è tutto ancora incatenato , e tra i ponteggi intravedi la bellezza della città, cogli il piacere del vivere qui in centro e….. ti fa pensare a come sarebbe la tua vita se non avessi più la tua casa.
E' li che cogli e condividi appieno il dramma di chi subisce una tale perdita.
E ancora di più quando chi ci accompagna nella visita, ci testimonia che gli abitanti del centro storico non credono a tempi brevi per la ristrutturazione delle loro case, sono consapevoli che servono almeno 20 anni.
Intanto però hanno ricominciato a pagare il mutuo…. E io temo per qualcosa che non avranno più.
La nostra amica ingegnere ci dice che la situazione è davvero drammatica, dal punto di vista tecnico, certamente gravissima, e poi tutto reso complesso dall'assenza di risorse, la crisi, la mancanza di partecipazione del paese all'ennesimo dramma di una nazione costruita sulla sabbia.
E la Fontana delle 99 Cannelle , perfettamente restaurata a cura del FAI, e la meravigliosa facciata della basilica Santa Maria Collemaggio, rimasta intatta perché transennata, in previsione di lavori da fare, non bastano a fare una città, la gente è gravemente ferita e se nei bar e nei ristoranti, da poco riaperti ti accolgono e ti sono riconoscenti perché sei andato a trovarli, nei loro sguardi e nelle loro parole si coglie la ferita e la domanda "guariremo?" .
Forse ha ragione chi pensa che l'Aquila sarà una nuova Pompei?
21 giugno 2011
Paola Meneganti Associazione Evelina De Magistris Livorno
“Venite a L’Aquila”. “Le donne terre-mutate chiamano”.
E noi abbiamo risposto: Paola, Maria Pia, Marusca, Grazia, Daniela. Con un pensiero a quelle amiche che avrebbero desiderato esserci, e che non hanno potuto, per vari motivi.
“Il Comitato Donne “terre-mutate” nasce a L’Aquila nell’ottobre del 2010 per portare donne di tutta Italia a “vedere L’Aquila com’è”. Quel che è stato fatto e quel che NON è stato fatto; le ferite aperte, il dolore, le rovine, gli inganni, ma anche la determinazione e la voglia di fare e di vivere ce hanno molte e molti. Terre-mutate, appunto, chiedono e aprono un mutamento.
Scrivevano, sul loro sito: vogliamo fare l’incontro, per “creare una rete solidale con altre realtà di donne che lavorano dentro le associazioni, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nell’arte; per accompagnarle a visitare la “zona rossa” ancora transennata e le C.A.S.E; per condividere anche un momento di gioia, una festosa trama di relazioni, semi di ricostruzione e di rinascita.
L’evento nazionale sarà l’occasione per lanciare un progetto ambizioso: una Casa delle donne da realizzare in città, un luogo per tutte le donne che la vorranno abitare”. Siamo andate, sabato 7 e domenica 8 maggio 2011. "Venite a L'Aquila. Venite a vedere cosa fa male all'anima. Venite a vedere le pietre che parlano, sussurrano e gridano. Erano frontoni, architravi, basamenti, capitelli. Venite a vedere come debordano dai muri di cinta le piante non potate, le schiere insolenti delle parietarie che avanzano sulle macerie, l'erba davanti i portoni chiusi delle case, tra i ciottoli dei vicoli che nessuno calpesta più" (da un cartello manoscritto, lungo il corso Vittorio Emanuele, L’Aquila)
Siamo andate. Messe da parte le urgenze quotidiane, arriviamo a L’Aquila, verso le 12 del sabato. Il navigatore, per portarci all’albergo, ci indica strade che, nella realtà, non sono percorribili. Ad un certo punto vediamo isolati cintati, case ingabbiate, reti di contenzione. E poi, le barriere. E il primo posto di blocco: una autoblindo dell’esercito e gli alpini. Non ci hanno detto niente, mica volevamo forzare le barriere.
Le case sono ferite in profondità. Vediamo solo questo, ora, perché c’è il deserto di presenza umana. Ma riusciamo, alla fine, a giungere all’albergo e vedere ed ascoltare, subito, l’acqua lustrale delle 99 cannelle. Aqua fons vitae, l’acqua dà vita, connette, pulisce, l’acqua bene comune …
Una salita a piedi, la natura dilaga, fiorisce, esplode, semina, riluce sotto il sole di questa giornata, ed ecco il corso, ed ecco la violenza di case inchiavardate, deserte, isolate. La casa, oikos, da qui viene il termine “economia”, la casa come radice e principio ordinatore. Poi, una rete, foto e fiori, alcuni ingialliti dal dolore: un buco, un’assenza, la Casa dello studente. Ne sappiamo la storia. I volti sono giovani nelle foto appese. Una signora fa una rapida carezza a una. Chi ha il coraggio di chiedere? Crepe, fratture, sostegni di legno e metallo. Ho visto anni fa un paese sommerso, riportato periodicamente alla luce. Una Vagli enorme, inchiavardata e deserta, solo che i tubi Innocenti sono migliaia, e così pure i morsetti, ancora lucidi sotto il sole. Davanti al grande vuoto, al buco enorme dove stava la Casa dello studente (ma perché lasciarlo così, in questa sospensione colma di orrore?), sull’altro lato della strada, un monumento, semplice e complesso, come le cose che sa fare l’amore. Alcune, al mattino, hanno sistemato piantine fiorite, i “fiori per non dimenticare”. Poco dopo, lungo la strada, scatto una foto che diventerà, per me, tra le altre, una foto parlante: un rosso camion di vigili del fuoco sopra un terrapieno di macerie.
La presenza dell’esercito. Colpisce. Gli alpini, con le penne nere. La presenza dell’esercito è straniante. Ma a che cosa fanno la guardia? Ci porremo molte volte la domanda: ovunque, soldati, perfino lungo il muro perimetrale della Basilica di Santa Maria di Collemaggio. Se non si capisce che cosa facciano in concreto, si percepisce però benissimo la dimensione simbolica che questa presenza implica: il controllo, la sorveglianza, un territorio presidiato, un territorio non libero, la sospensione del libero scambio, della libera circolazione. Io partecipo alla “stanza” “Donne in resistenza contro la militarizzazione dei territori”, nell’hotel Castello. Sì, perché la presenza di tante donne a L’Aquila – alla fine, saremo in seicento – ha fatto riaprire alcuni bar, hotel, locali di ritrovo. Anche questo è vita.
Serenella apre l’incontro: non ho più una città, dice. Il sabato e la domenica assistiamo ad un turismo terremotato, per il resto, non c’è nessuno, salvo l’esercito, anche se di camionette, ora, ce ne sono un po’ meno. I militari sanno di aderire al progetto “Strade sicure per L’Aquila”. Ci siamo abituate a vedere i militari. Alle 11 di sera chiudevano i cancelli. Ci hanno inseguiti, per un anno e mezzo: “Lei chi è?”. Eppure, ci sono stati ugualmente tantissimi furti. Questa è la militarizzazione: ci chiedevano chi fossimo qui, nella nostra città. La terra-mutata è la condizione per cui chiedi scusa, nel tuo territorio. Dice ancora Serenella: avervi qui, è un grande regalo.
Molti altri interventi: il Comitato Madri per Roma città aperta (sorto per ricordare l’esperienza di un ragazzo, Renato, ucciso dai fascisti, e dal desiderio della madre Stefania di fare qualcosa. ”Lo Stato ha armato il braccio di quelli che hanno individuato in lui il diverso”). A dieci anni da Genova G8: la perdita del territorio, la militarizzazione, le gabbie, i cittadini che devono presentare i documenti per entrare a casa loro. Poi, il Comitato nazionale Dies Irae, dei familiari delle vittime dell’illegalità, di cui fa parte Antonietta Centofanti, che ha perso un nipote nella Casa dello studente; il comitato No Dal Molin (“Vogliono stroncare quelli che hanno ancora un po’ di fiato per reagire”).
Le Donne in nero di Ravenna, che hanno ricamato la biancheria, perché era così triste vedere tutte quelle tovaglie tutte uguali, nelle nuove casette … anche le suore di clausura hanno lavorato. Le Donne in nero di Fano, le Donne in nero di Verona, il Circolo UDI La Goccia di Roma, le Donne in nero di Napoli, il collettivo Le ribellule di Roma, il Centro Donna di Grosseto, le Donne in nero di Padova, il Centro femminista separatista della Casa della Donna di Roma, e tante altre. Riprendo appunti sparsi: emerge il senso di privazione della cittadinanza.
Noi donne ci sentiamo legate al territorio, alle battaglie che riguardano la terra. Per noi è fondamentale la relazione: già da madre a figlia, la cura della casa, ma non solo, siamo in relazione con chi calpesta il terreno.
L’Aquila come “luogo difficile”, dove ci sono controlli e sospensione della libertà, fino alla difficoltà di comprare anche una ricarica telefonica. Nelle casette nuove c’era di tutto, pure le coperte per gli ospiti, ma non si poteva neppure appendere un poster al muro. Eppure, hanno messo in condizione la popolazione de L’Aquila di dire “grazie”.
Preoccupa la militarizzazione delle menti, per cui è la gente a chiedere “progetti sicurezza”. Lo scopo è far diventare senso comune la costruzione del nemico. Perché c’è bisogno di un nemico per costruire l’identità? E ancora, dice Nadia, delle Donne in nero di Napoli: c’è la perdita della terra (riferendosi alla lotta contro l’inceneritore di Acerra, dove la popolazione aveva fatto un giardino del pantano che era il luogo dove doveva sorgere, e aveva organizzato una raccolta differenziata autogestita). Viviamo tra i veleni, ci sono i tumori. Che relazione c’è tra il desiderio della nascita, il miracolo della nascita, e la vita per come la viviamo? Qui c’è una messa in discussione del rapporto corpo-natura, terra-corpo.
Io penso da tempo che l’emergenza come regola politica, amministrativa e culturale abbia portato alla distruzione di ogni possibile alternativa al sistema dato, quale che sia, ed all’azione - di destra? forse, ma non solo – di normalizzazione di azioni e coscienze.
Grazie alla mia amica Isa e a suo padre, squisitamente gentile, visito parti di città accartocciata. Il tempo sospeso e precario segnalato dalle piante che seccano sui terrazzi, dal manifesto di un film che veniva proiettato in quei giorni al cinema, sottratto, quel 6 aprile 2009, al tempo che scorre e fissato in una “inattualità” vertiginosa. Oppure, da un comodino – avrebbe potuto essere il mio – carico di libri, intravisto da una parete crollata.
Mi portano anche alle case C.A.S.E. Che cosa sono? Trascrivo dal sito della Protezione Civile. Meglio di loro … “Il Progetto C.A.S.E. è un piano che prevede la costruzione di “Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili” nel comune di L'Aquila.
Il Governo autorizza il Commissario delegato a progettare e realizzare a tempi di record: - nuove abitazioni; - non solo case, ma quartieri durevoli e tecnologicamente avanzati (sono compresi tutti i servizi), per tutti i cittadini che hanno la casa distrutta dal terremoto o dichiarata inagibile dopo le verifiche. Sono costruzioni stabili e realizzate con due criteri: - innovazione tecnologica e risparmio energetico; - protezione dai terremoti”.
Sono “costruzioni stabili”. Apparentemente, meglio, rispetto alle tendopoli e alle baracche. Ma il punto è che le persone, molte persone, ci si sono sentite deportate e totalmente deprivate della capacità decisionale. Le c.a.s.e. sono fuori dalla città, i collegamenti mediante i mezzi pubblici sono scarsi. Soprattutto gli anziani e i bambini si sentono sradicati. Non parliamo poi dei costi. Nessuno ha chiesto ad aquilani ed aquilane se desideravano questa prospettiva. In diversi ci hanno detto: sarebbe stato meglio che ci fossero i prefabbricati, perlomeno non avrebbero potuto dirci che eravamo “sistemati”.
Uno tra i primi messaggi, colto la sera in piazza: ci sono stati tanti terremoti, hanno sempre ricostruito. Questa volta non lo vogliono fare. Perché? E poi: gli italiani devono sapere. Ecco il messaggio, ripetuto, ribadito. Si deve sapere, tutto questo. Tutti pensano che ormai l’emergenza sia finita: no, è ancora tutta qui, nelle case, nelle coscienze, nello stato di emergenza e nel “potere di ordinanza” - commissari, ordinanze, esercito - prorogato ancora dal governo, perlomeno fino al 31 dicembre di quest’anno, nella sottrazione alle regole delle leggi ordinarie. Perché nella dimensione “straordinaria” le regole saltano, l’invocazione della “fretta”, del “far presto” va a braccetto con l’arbitrio, con la non trasparenza, con l’illegalità. Protezione civile e grandi opere, ricordate? “Draquila”, lo abbiamo visto. Le risate degli sciacalli, intercettate quella notte, quando pregustavano l’enorme mole di affari che si profilava all’orizzonte.
Abbiamo visitato la “zona rossa”. Era un centro storico bellissimo, qualcuna di noi se lo ricorda quando era integro. Una ragazza mi ascolta e mi dice: sai che me ne sono resa conto dopo, di quanto fosse bello? Quando c’era, non ci davo tanta importanza … Il dolore delle amiche aquilane che ci guidano e raccontano: “ci dicono che, del centro storico, dovremmo fare una città medievale hi tech. Ma come è possibile, l'università, il teatro, il conservatorio de L'Aquila erano qui”. L’ipocrisia impera: sono ripartiti i mutui, e, con i progetti casa, tutta la popolazione del centro storico e' stata sparpagliata. Gli anziani, i bambini, i ragazzini non si muovono, c'è stata una moria di anziani e malati. Non hanno più relazioni: gli autobus di là partono per i centri commerciali. Il welfare ora e' tutto domestico.
Non si vedono soluzioni. Che cosa si dovrebbe fare, abbiamo chiesto? “Togliere la messa in sicurezza, far crollare quel che deve, poi restaurare e ricostruire. Sentite gli odori, il materiale marcisce, l'erba cresce”. Intanto, un muro di mattoni che si intravede dietro un portone socchiuso di una sede universitaria è un’altra immagine indelebile, fortemente metaforica, su L’Aquila e sull’Università italiana, anche.
Ci sono molti posti di blocco, ma è stato rubato di tutto, pure il rame, i negozi sono stati svuotati.
Tubi Innocenti, giunti, morsetti, snodi. Sono stati pagati uno per uno, ci dicono.
Un amico sostiene: c’è stato uno scambio, “new town” per zona rossa. Era meglio una minor speculazione, anche a prezzo di una maggiore precarietà. La spesa pubblica per gli alberghi, ad esempio, è stata ed è fortissima. Dice Antonello: il “Progetto C.A.S.E.” è stato deciso dopo 20 giorni dal terremoto: è mancato qualcuno che prendesse le parti della gente disperata e frastornata. Che dicesse "no".
Abbiamo capito che si è verificata un’invasione politica e militarizzata. Adesso L’Aquila è un non- luogo, la Zora di Italo Calvino, come hanno scritto su uno dei moltissimi cartelli, spesso manoscritti, che troviamo appesi un po’ dappertutto. Ho copiato: “Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che chi l'ha vista una volta non può più dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un'immagine fuor del comune nei ricordi. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari. Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare una sola nota. L'uomo che sa a memoria com'è fatta Zora, la notte quando non può dormire immagina di camminare per le sue vie e ricorda l'ordine in cui si succedono l'orologio di rame, la tenda a strisce del barbiere, lo zampillo dai nove schizzi, la torre di vetro dell'astronomo, la edicola del venditore di cocomeri, la statua dell'eremita e del leone, il bagno turco, il caffè all'angolo, la traversa che va al porto. Questa città che non si cancella dalla mente e come un'armatura o un reticolo nelle cui caselle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare: nomi di uomini illustri, virtù, numeri, classificazioni vegetali e minerali, date di battaglie, costellazioni, parti del discorso. Tra ogni nozione e ogni punto dell'itinerario potrà stabilire un nesso d'affinità o di contrasto che serva da richiamo istantaneo alla memoria. Cosicché gli uomini più sapienti del mondo sono quelli che sanno a mente Zora.
Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l'ha dimenticata". Fortunatamente, il nostro viaggio, a Zora-L’Aquila, c’è stato.
Una città in macerie. Eppure, le macerie potrebbero essere la carta della ricostruzione sostenibile. Occorrerebbe gestirle in maniera virtuosa: sono 5 milioni di metri cubi. Con il recupero del ferro e del rame, con l’eliminazione dell’amianto. Significherebbe anche togliere la città ed il territorio dal sistema caritatevole, ci dicono. L'Aquila e' la metafora dell'Italia: poteva essere un esperimento di buona politica, invece ha prevalso la declinazione vera: fare denaro, riciclare denaro. E' difficile far passare le cose pulite.
L’Aquila è la metafora dell’Italia. Dell’affarismo, della rovina, dell’interesse privato che erode, mette da parte, cancella quello pubblico. Ma lo è anche per la sua capacità di resistenza e di intelligenza, nonostante tutto. Anche di umorismo. La città che sa scrivere: “macerie di tutta Italia, uniamoci”. La città che ha manifestato a Roma.
Di ritorno da L'Aquila, la città delle 99 cannelle, 99 fontane, 99 piazze, 99 chiese.
Il cuore pieno, la testa pure. Ho portato con me tante tante parole, tanti abbracci, sorrisi, e anche lacrime. Ho portato pane, formaggio e vino di quella terra. Dire “grazie” alle amiche aquilane che hanno desiderato e voluto questo appuntamento non basta davvero: vogliamo dirvi che vi vogliamo bene, voi donne che ci avete donato l’immagine della cariatide, la donna-scultura che guarda a terra ma sostiene il cielo, come ha scritto Nicoletta Bardi: un simbolo di disperata forza. Faccio mie le parole di Maria Pia: “Ecco il talento delle donne de L’Aquila. Stanno attraversando il dolore e la rabbia. Il terremoto non e’ stato un tradimento di madre terra, ma la violenza ingiusta e ingiustificabile di uomini che non hanno voluto ascoltare la sua voce. Eppure provano con forza e amore a trasformare questa rabbia/dolore in progetti e a realizzare sogni”.
Ricordatelo: siamo tutte "terre-mutate".
20 giugno 2011
Lorena Garzotto Gruppodonne Presidio Nodalmolin Vicenza
Terre - Mutate: L’Aquila e Vicenza
Lo sapevamo, dell’umiliazione dell’Aquila da parte del potere, del controllo militare, della disinformazione e della propaganda: chi di noi era andata nei giorni subito dopo il terremoto a portare aiuto ce lo aveva raccontato. A me sembrava un’esagerazione. Ma le scritture aquilane, le parole delle donne incontrate nei due giorni, la voce rotta e la commozione di Valentina nell’introdurre il gruppo di discussione ci hanno fatto percepire la verità di quell’esperienza, toccandoci profondamente. Abbiamo rivisitato nelle sue parole la violenza sulla nostra vita e sul nostro territorio, riconosciuto la stessa umiliazione vissuta come vicentine, come cittadine di una città violata e svenduta agli interessi politici ed economici, in spregio all’etica di pace, all’ambiente, alla convivenza, al buon senso. Abbiamo raccontato della nostra militarizzazione, dei controlli a cui siamo sottoposte, della licenza con cui i carabinieri ci chiamano per nome, dell’essere seguite e intercettate, delle denunce. E dopo aver lottato strenuamente per anni contro l’imposizione della nuova base (“La madre terra si ribella a una base di guerra”), voluta da chi si sfrega le dita dicendo “che porta schei”, dopo aver dedicato moltissimo tempo ed energie a questo obiettivo, sapendo bene quale idea c’è dietro, ci siamo poi trovate ad assistere impotenti alla scelta di un modello di mondo in cui non crediamo, da cui ci dissociamo profondamente. E guardiamo con sdegno, con rabbia, con orrore, al crescere del bubbone sulla nostra terra – mutata dalla militarizzazione: ma non con rassegnazione. Noi vicentine, pur nell’incommensurabilità del disastro terremoto, abbiamo sentito e condiviso l’umiliazione degli aquilani come profondamente nostra, per aver vissuto la stessa espropriazione dei diritti, l’occultamento della verità, il controllo sulle nostre vite e i tentativi di “sradicare il dissenso”. Abbiamo sentito da subito un legame di sangue con gli aquilani in lotta per la loro terra, per la dignità di tutti, nel vuoto della politica che non sa difendere il bene comune, raccogliere le richieste dei cittadini, e che risponde con la forza, il controllo, sulla popolazione. Così riconosciamo la realtà dell’Aquila come anche nostra. E abbiamo gioito ad ogni entrata con le carriole, ad ogni ripresa degli spazi.
Il dramma dell’Aquila è stato, oltre la disgregazione del suo tessuto, l’inquietante sperimentazione di un modello di controllo totale sui cittadini in nome della “protezione civile”. Era il ricevere assistenza, per sopravvivere con pasti caldi, latrine, coperte, ma senza avere la possibilità di occuparsi di sé o degli altri, senza potersi sentire utile nel riprendere in mano per quanto possibile il quotidiano spezzato. La gente fuori non sa di questo, e quando lo racconti ti guarda incredula. Infatti, la propaganda, la demagogia hanno usato la disinformazione in dosi massicce per dire che tutto era a posto, tutto normalizzato: chi nelle C.A.S.E. nuove, chi negli alberghi, niente più tende, sbaraccate in 24 ore senza preavviso. E come diceva Paola nell’incontro che abbiamo fatto coi vari gruppi di ritorno a Vicenza, è difficile protestare quando si deve essere grati per quello che hai ricevuto in una situazione di privazione.
Da questo scenario le donne della terra-mutata hanno chiamato a raccolta il 7 e 8 maggio le altre che nei territori tengono viva la voce dell’impegno, del pensiero e del desiderio, che lottano per ambienti e convivenze migliori. Donne toste, donnone, mi veniva da pensare mentre ascoltavo i discorsi importanti che giravano tra noi, pensieri forti.
Qualcuno, nel gruppo “Donne resistenti” dentro all’improbabile panineria “Ingordo laico” in centro storico, ricorda una frase delle Madres de Mayo, che per 33 anni hanno chiesto giustizia, passando per “locas”, pazze, e poi hanno vinto: “I tiranni contano sulla nostra tristezza e impotenza”.
Ritagli
A volte la domenica gli aquilani vanno a vedere la loro città, le loro strade, e si raccontano cercando di ricollocare i luoghi al loro posto, di ricostruirli nella mente com’erano. Qualcuno magari tenta di recuperare cose tra i muri incerti, come bollette, per dimostrare alla burocrazia che abitavano lì da tempo e hanno diritto ad un’altra casa. Incrociano talvolta i turisti delle macerie che vanno a visitare quello che resta della vita di un tempo, un po’ come i turisti guardoni della scena di un crimine.
Gli occhi umidi di Elena, di ritorno da uno dei suoi pellegrinaggi alla Casa dello Studente. Il suo silenzio assorto davanti alla chiesa di S. Bernardino. La sua casa, dove ci aveva ospitati durante l’assemblea di Rigas l’anno scorso, appena toccata dalle onde sismiche, ma tutto intorno distruzione. Lei, pianista di una terra ricca di musica, per lungo tempo non era più riuscita a suonare.
Aveva un che di dolente la figura di donna dai capelli ramati, vestita con cura, che veniva verso di noi. Alla nostra richiesta di indicazioni per la Casa dello studente, (Rosella poi dirà che non avremmo dovuto, lo sentiva), la signora si ferma, gentile, ma dice subito, tra il rimprovero e l’afflitto, perchè tutti vogliono vedere la casa dello studente?, sono morte tante altre persone, come nel palazzo di fronte, crollato sopra famiglie intere. Ci sentiamo in imbarazzo, ad apparire, come tanti, un po’ le guardone del dramma, a chiedere il luogo mediatico. Cerchiamo di dire che no, siamo lì per tutti, che capiamo, sappiamo… ma ci resta la sensazione di essere fuori posto in questa tragedia. D’altronde come immaginare la distruzione, il restare senza nulla, il quotidiano, i tuoi cari…. Puoi solo provare, ma non è la tua esperienza. Noi che torneremo a casa. Io ho provato tante volte a immaginare la tua casa caduta, la città distrutta, le strade chiuse, non avere più le tue cose, o stare in una tenda con tanti altri, senza più nulla di tuo. Nulla delle mille cose di cui è fatta una vita. Una cesura tra il prima e il dopo. La donna racconta con poche parole quanto è dura, quanto è difficile uscire di casa in questa città interrotta. Città interrotta, vite interrotte. La fatica di vivere. Prendendo psicofarmaci per sopravvivere. Dopo, avrei voluto abbracciarla.
Davanti la Casa dello studente, con le sue stanze slabbrate, senza una parete, in bilico sul nulla, gli armadi pencolanti, i letti ancora lì, a mostrare oscenamente un pezzo di intimità; in un’aiola dei fiori messi da uno dei gruppi dicono “mai più”, una poesia invita a non guardare da turisti nelle pieghe di questa città morente. E’ una visita la nostra quasi furtiva, come a spiare una cosa privata, segreta. Con un senso di straniamento e di pudore tocco un mazzo di chiavi, un peluche, un cappello appesi alla rete, appartenuti ai ragazzi. Così come tante storie, tanti messaggi, foto, oggetti affidati a queste transenne creative a raccontare .
Noi dopo a incontrare le altre donne nei gruppi di studio nelle varie “Stanze”, con questi ritagli di vita in mente. Un’azione politica all’insegna della resistenza. Resistere alla violazione della terra, alla violazione dei corpi e delle menti. Ma in modo resiliente, creativo, flessibile. Superando anche il dolore, trasformandosi senza irrigidirsi. Pensando a costruire, perché nulla potrà mai essere ri-costruito come prima. La crisi come occasione, qui come a Vicenza. Oltre la rabbia, oltre il dolore e la sconfitta. Uscendo dal vittimismo, dal pietismo, anche dalla solidarietà che ti fissa in un ruolo. Recuperando la quotidianità e la soggettività come fanno le donne, perché anche “la convivialità è rivoluzionaria”. Pensiero che condividiamo, perché è nello stare insieme, nel guardarsi e parlarsi, nel condividere cibo e discorsi che si possono lanciare ponti, che si possono costruire anche le grandi cose. E allora sono contenta di avere incontrato lo sguardo severo e addolorato di quella donna, perché mi ha aiutato a capire, riempiendo lo spazio tra la nostra presunzione e la realtà della vita vera.
Il giorno dopo, alla fine del gruppo, il Dies Irae, e una marcia musicale con la “Resistenza Musicale Permanente” verso la Casa delle Donne, cantando, certo più stonati dei musicisti ma con molta passione, il Và pensiero. La voce veniva intensa e commossa al “Oh mia patria sì bella e perduta” e “arpa d’or dei fatidici vati” ma anche al Bella Ciao, tra quei palazzi diroccati, tenuti insieme da ponteggi a migliaia. Una metafora straordinaria. Resistere.
Anche Giovanna Marturano, piccola grande partigiana che “resiste da 99 anni”, dondolando le sue gambe sotto la sedia davanti al camper, lancia l’invito “Ragazze incazzatevi, a esser troppo buoni non si ottiene niente”; e propone di fare la staffetta, (così come lei aveva fatto, col veleno nei calzettoni datole dal padre nel caso fosse caduta nelle mani nazifasciate), tra le varie realtà resistenti nei territori.
12 giugno 2011
Questa lettera, a cura di “Donne in Rete per la Pace”, “Gruppo Donne del Presidio Nodalmolin”, “Donne in Nero”, è stata pubblicata il 9 giugno su
Il Giornale di Vicenza
POST TERREMOTO
«Esperienza drammatica delle donne all'Aquila»
Il 7-8 maggio una cinquantina di vicentine ha risposto all'invito delle aquilane per l'incontro nazionale di Terre - Mutate, rivolto a donne di tutta Italia per condividere esperienze e progetti, per mettere in comune talenti e competenze, per rilanciare la speranza. Siamo arrivate in centinaia per sostenere il progetto di una “Casa delle Donne” nel centro dell'Aquila, ma anche per stare accanto alle compagne aquilane, per ascoltare le loro storie; per incontrare la città vera, non quella esibita dalla televisione, fintamente normalizzata, ma quella ancora transennata e presidiata da militari, lacerata, sofferta, sospesa nel tempo senza futuro, abbandonata dopo le luci delle promesse. E per vedere la realtà dei luoghi dis-integrati come i villaggi delle C.A.S.E., così lontani, anonimi e privi di spazi soci! ali. Nei gruppi di studio nelle varie “Stanze”, ricavate all'interno dei rarissimi luoghi agibili del centro città per farla rivivere almeno un po', le donne si sono incontrate a riflettere sui temi della militarizzazione e della resistenza creativa, dei beni comuni e della legalità, della dis-informazione, dei corpi violati, e della cultura come antidoto al mercantilismo.
L'Aquila è un'esperienza sconvolgente per l'immobilità delle sue crepe, delle sue spaccature, tenute insieme da impalcature, puntelli, giunti; per gli squarci di vita privata, improvvisamente interrotta il 6 aprile 2009, che dalle case diroccate si offrono ancora agli sguardi. Stesse crepe, stessa immobilità nella vita e nell'anima della gente, che senza più la propria casa, la propria città con i suoi legami, vive il dramma di un non ritorno. Molte le persone “deportate” nelle cosiddette New Town, molti gli anziani che continuano a vivere negli a! lberghi della costa senza speranza di futuro. Molti, tra quest! i scampati al terremoto, i morti: per malinconia, per la perdita delle relazioni con la rete sociale; troppi i suicidi. Dosi massicce di psicofarmaci.
Ma L'Aquila è stata anche un'esperienza estrema per come è stato gestito il post - terremoto, in deroga alle leggi normali, con il potere assoluto del commissario straordinario, senza mai consultare i cittadini. Con un controllo militare ferreo, in cui non era possibile uscire dalle tendopoli per trovare parenti, o ricevere visite, né avviare iniziative, fare riunioni. Nei campi i terremotati non potevano collaborare alla gestione della vita quotidiana, erano sudditi, passivi fruitori, e potevano solo ricevere assistenza. Il modello militare di organizzazione dei campi di accoglienza, la modalità assistenziale e autoritaria di gestire la quotidianità, espropriando l'iniziativa delle persone, ha contagiato anche il lavoro prezioso dei volontari. Questo raccontavano le aquilane, e sarà difficile! dimenticare gli occhi umidi di chi, dopo la catastrofe e l'impotenza del terremoto, dopo lo shock delle perdite di vite e di luoghi, racconta l'umiliazione di subire le decisioni e il controllo dall'alto sulla propria vita e sulla propria terra. Noi vicentine, pur nell'incommensurabilità del disastro terremoto, abbiamo sentito e condiviso questa umiliazione degli aquilani come profondamente nostra, per aver vissuto la stessa imposizione sui cittadini, il disprezzo del potere che occulta la verità, distorce le informazioni, e sollecita infine a “sradicare il dissenso”. Viviamo l'orrore di subire all'interno della nostra vita quotidiana una base di guerra decisa sulle nostre teste, e la realtà di una terra - mutata dalla militarizzazione nella nostra Vicenza. Ma portiamo con noi, oltre alla ricchezza degli incontri e alla solidarietà delle donne presenti, la forza di figure come Giovanna Marturano,
23 maggio 2011
Collettivo LeMaleFiche
SIAMO TUTTE TERRE-MUTATE! Lo scorso 7 e 8 maggio a L’Aquila si è tenuta la due-giorni “Ben vengano le donne a maggio. Manifestiamo, siamo tutte aquilane”. Come Malefiche abbiamo partecipato alle discussioni nei tavoli tematici (stanze) e contribuito alle performances con la mostra fotografica “Donne in rivolta”. Abbiamo accettato subito e con determinazione l’invito a partecipare; crediamo infatti che sia necessario nel nostro paese un confronto costante tra donne.
Abbiamo palesato tutte in questi mesi il bisogno e desiderio di confronto e lotta, costruendo mobilitazioni, assemblee e dibattiti sulle tematiche di genere.
Siamo corpi violati e desideranti: violati tutti i giorni dalle politiche strumentali e sessiste, dalla precarietà delle nostre vite, da chi si arroga il diritti di parlare e decidere per noi; siamo corpi desideranti di raggiungere quell’emancipazione tanto millantata, ma lontana per molte di noi. Siamo donne e lottiamo ogni giorno nei nostri territori per non vederceli portare via. Per non permettere alla controparte di turno di controllare e gestire le nostre vite e i nostri spazi, luoghi di autorganizzazione, aggregazione e formazione. Spazi e luoghi che ci vengono sottratti, ad esempio attraverso la militarizzazione dei territori, di cui è esempio L'Aquila - ma anche Vicenza, Terzigno, Gaza - imposta da organi decisionali nei quali non abbiamo voce in capitolo e le cui decisioni non abbiamo intenzione di accettare.
Noi donne siamo protagoniste in tutti gli scenari di lotta e di resistenza, in Italia come all'estero. Lo siamo non solo perchè non ci vogliamo arrendere alle logiche neoliberiste di questo sistema, ma perchè abbiamo l'idea che un altro mondo è possibile. Possibile è la costruzione di spazi, beni, che siano comuni. Comuni nella partecipazione, comuni nella gestione. Una gestione che parta dal basso, dalla collaborazione di tutte e tutti coloro che vivono un territorio, che condividono un servizio, come ad esempio è l'acqua. Comune è un'idea di democrazia e autorganizzazione differente, che si oppone alle logiche politiche privatistiche e verticistiche a cui siamo abituate. Per fare questo, per mettere in discussione l'esistente, noi donne con i nostri corpi, con la nostra voglia di condividere, siamo necessarie. Il bene comune così inteso parte dalle donne. Pensiamo che quello che abbiamo condiviso a L'Aquila non debba fermarsi a quelle meravigliose giornate, ma debba essere costante, nello scambio tra noi, nelle esperienze e nel far circolare nei nostri territori anche tutte le informazioni rispetto a quello che accade alle altre. Per non dimenticare, per non fare passi indietro, ma solo in avanti.
Per questo pensiamo si possa avviare un percorso, speriamo duraturo, di alleanze tra tutte le donne che r-esistono nei territori; anche a partire da questo primo incontro: ci auguriamo che le relazioni stabilite lo scorso week-end possano essere portate avanti e rafforzate.
Siamo accanto alle TERRE-MUTATE nella vertenza che stanno portando avanti per aprire la casa delle donne a L’Aquila. Crediamo che tale vertenza debba essere prioritaria in una città dove, tanto a causa del terremoto quanto per le scellerate scelte politiche di questo governo, si è di fatto disgregata e cancellata ogni tipo di relazione sociale, dove l'attenzione ad una socialità che non sia ricostruita nei corridoi dei centri commerciali è del tutto assente e dove le necessità delle donne, ancora una volta, passano in secondo piano. Una casa delle donne come luogo dove sia possibile una socialità diversa ma anche dove si possa portare avanti cultura di genere ed elaborazione politica. Pensiamo che un luogo come questo, come lo immaginiamo noi e come lo state costruendo voi, dovrebbe esistere in ogni città, ma in una città come L'Aquila, dove le parole d'ordine sono controllo e sicurezza, dove le restrizioni aumentano e l'immaginario presente è il militare per strada a cui chiedere il permesso di entrare a casa tua, qui pensiamo sia prioritaria.
Siamo con quelle donne che lottano ogni giorno per l’autodeterminazione e libertà di scelta per tutte.
Consapevoli delle grandi difficoltà, ma coscienti della loro forte determinazione, auguriamo alle aquilane a agli aquilani di poter anche solo tornare a camminare, desiderare, vivere, nella LORO città, che nonostante tutto è una delle più belle che abbiamo mai visto.
21 maggio 2011
Germana Madri per Roma Città Aperta
Grazie ancora per la bellissima ospitalità e organizzaizone. Bravissime.
20 maggio 2011
Lucia, Giuliana, Barberina, Mariella, Manu DiN di Padova
Simona Cesaretti
19 maggio 2011
Rosi, Daniela, Giannina, Lia, Luisa, Sonia, Marina, Mia, Cristina - Bolzano
18 maggio 2011
Rosa Boncaldo
Carissima Nadia e voi tutte,17 maggio 2011
Flavia Valoppi
Ringrazio tutte per l'esperienza che ho vissuto a L'Aquila: speciale e intensa. grazie ancora
15 maggio 2011
Antonia Banfi Siena
Cara Nadia,Rosalba Mengoni
Care donne de l'Aquila,
Luisa Randi Ravenna
13 maggio 2011
Rosanna Marcodoppido
Carissime tutte,
12 maggio 2011
Lucia Tomasoni
Graziella Longoni
11 maggio 2011
Graziella, Libera, Marinella, Cristiana, Roberta Donne in Nero Milano
sull'esperienza aquilana, spero riusciremo a mandarvi prossimamente qualcosa di scritto collettivamente, nel frattempo abbiamo incominciato a pensare che cosa fare per sostenere il vostro centro Antiviolenza. Vi ringrazio ancora, e invio a tutte un saluto e abbraccio affettuoso.
Lorena, gruppo donne presidio Nodalmolin Vicenza
Ciao Valentina volevamo ringraziarvi tutte per la bellissima opportunità che avete creato. Noi ci siamo già trovate per condividere e la settiman prox lo faremo con gli altri gruppi che erano con noi. Pensiamo di scrivere qualcosa. Ci siamo ricaricate e arricchite, pur portando con noi il dolore dell'Aquila e di tutte voi. Speriamo di continuare la staffetta!!!! organizzando a Vicenza un incontro. Intanto volevo chederti se potevi tenerci un manifesto, alla fine mi sono dimenticata di farmelo dare, se siete d'accordo lo mettiamo in presidio. Un forte abbraccio
10 maggio 2011
Antonietta Lelario Circolo La Merlettaia di Foggia per la rete delle Città vicine
Che cosa ci spinge in tante, più di 600 donne, ad andare da tutta Italia a L’Aquila, rispondendo ad una chiamata delle donne Terre-mutate?Da Napoli: Erminia, Rosalba, Renata,Marisa, Nadia, Giovanna, Sassi, Maria Rosaria
Care donne Aquilane, Ci associamo nelle congratulazioni per quanto siete riuscite ad organizzare. Sto raccontando di voi a...tutti quelli che mi capitano!Veramente eroiche! Un grande incontro, andato veramente al di là delle problematiche specifiche (seppur tristi e...incomparabili!) di questa vostra bella e commovente città. Speriamo veramente di rivederci, magari in maniera molto meno ipegnativo per voi, semplicemente, nel modo in cui ne abbiamo parlato anche con SIMONA nel gruppo BENE COMUNE e LEGALITA'. E chissà che non riusciamo a mandare anche noi qualche appunto. Ancora GRAZIE, abbraccio circolare da Napoli a tutto il grande gruppo.
Nadia Cervone
Un po' di foto se volete da condividere insieme, sia con chi c'era che con chi non è riuscita a venire. Eravamo veramente tante, da tutta Italia, realtà diverse eppure siamo riuscite a lavorare bene insieme. Di questo parlavamo con alcune alla fine dei due giorni, la modalità messa in campo dalle donne dell'Aquila ha aiutato un ascolto che raramente ho trovato nelle grandi riunioni di donne. Non abbiamo avuto plenarie e non ne abbiamo sentito la mancanza, almeno io e altre con cui mi sono confrontata non lo abbiamo sentito. E comunque non sono mancati momenti di condivisione collettiva, a gruppetti, all'aperto, al sole, mangiando un panino insieme, ritrovandoci in piazza Duomo o a piazza palazzo. Grande il pulman delle donne di Ravenna con tantissime Din e quello delle donne di Piacenza dove abbiamo ritrovato le din di Verona. Un incontro che non si dimentica. In attesa dei ritorni del lavoro svolto all'interno dei vari gruppi, nelle foto che invio anche quelle di un momento molto emozionante e significativo vissuto all'interno del gruppo " resistenza" grazie al saluto che ci è venuta a fare Giovanna Marturano, 99 anni, partigiana della brigata garibaldi accompagnata dalla staffetta Luciana Romoli. Giovanna ha poi chiuso la nostra due giorni con un breve intervento a piazza palazzo fatto seduta sul predellino di un mini bus. C'est a dire...ci sono predellini e predellini. Grazie donne dell' Aquila, là dove l'acqua si raccoglie.
Anna Paola Moretti
Care amiche, non ho potuto partecipare alla vostra bellissima iniziativa, ma vorrei dare anch'io un piccolo contributoa sostegno della Casa delle donne che intendete costruire. Vi scrivo da Pesaro; quando nel 1988 abbiamo aperto la Casa delle donne di Pesaro , la biblioteca è stata il nucleo centrale. Vorrei spedirvi un testo che ha molto a che fare con la resistenza / resilienza che le donne sanno praticare, è la memoria di una donna ucraina ex-deportata nei lager nazisti, diventata nostra concittadina.La deportazione femminile. Incontro con Irene Kriwcenko. Da Kharkov a Pesaro: una storia in relazione, con prefazione di Daniela Padoan, pubblicato nel 2010 dall'Assemblea legislativa delle Marche. Aspetto che mi comunichiate l'indirizzo a cui posso spedire Con tanti auguri e sincera ammirazione
Loretta
Meravigliose donne, anch'io ho il cuore caldo perchè ho passato due giorni bellissimi nella mia città che ho tanto amato perchè l'ho scelta e che amo ancora. Vi confesso che in alcuni momenti ho chiuso gli occhi e, sentendo le voci ed il brusio, ho potuto rivivere emozioni e sensazioni che l'Aquila senza ferite mi ha sempre dato. Grazie
Linda
Ciao carissima, ti scrivo per ringraziarti della bellissima manifestazione che hai/avete organizzato a L'Aquila. E' stato bello vedere la città piena di donne e molto interessante visitarla dal di dentro con persone come Carlotta. Se ti serve qualche foto per il sito te le invio volentieri. Ciao. A presto
9 maggio 2011
Eles. "La Rosa e la spina"
Il comitato "Donne terre-mutate" ha lanciato un grido d'aiuto, le donne delle Associazioni di tutto il paese hanno risposto.
Anche noi, amiche nuove e vecchie dell'Associazione "La rosa e la spina" ci siamo recate a L'Aquila, sabato 7 e domenica 8 maggio.
Abbiamo guardato la città da vicino, così come le donne aquilane ci avevano chiesto di fare, cercando di incrociare i loro sguardi, ascoltare le loro parole, cogliere il loro sentire, condividerne il dolore, stringere le loro mani.
Nella "zona rossa" abbiamo sentito gli odori di una città profondamente ferita, toccato le sue pietre, osservato le sue ferite, sfiorato le sue spaccature, respirato la sua aria: spifferi gelidi, lame di ghiaccio, forze ignote, celate negli oggetti, nascoste nello scheletro delle cose.
Ho percepito, nelle fessure nascoste dall'informazione stuprata, la verità dello stato delle cose e mi sono sforzata di vedere la storia che occorre vedere, quella che occorre raccontare.
Ho visto una città disabitata, desolata, abbandonata dai potenti di turno ma non dalla sua gente, dai volontari del post-emergenza che l'hanno sorretta, puntellata, abbracciata.
Ho conosciuto la forza delle donne aquilane e incontrato la solidarietà delle donne italiane.
Ho visto mura sbriciolate, crepe più larghe di un palmo di mano, finestre divelte, case collassate, accasciaste su stesse, come un vecchio stanco della vita...
Le mura delle case erano imbragate da possenti fasce d'acciaio, pali di ferro incastrati con maestria tra viti, raccordi, dadi, tiranti e bulloni; strani elementi di fissaggio e mi sono chiesta quale competenza sia stata necessaria per raggiungere simili risultati … opere provvisionali di prima emergenza, mi suggerisce Francesca, l'amica esperta di questioni tecniche.
Ho verificato il significato: "per opera provvisionale, in edilizia, si intende una lavorazione o la realizzazione di una struttura o di un manufatto che abbia una durata temporanea, e che non farà parte dell'opera compiuta, perché verrà rimossa prima" e mi sono chiesta quando questa rimozione ci sarà!?
Nei due giorni di permanenza all'Aquila ho più volte alzato gli occhi al cielo è l'ho sempre visto tremendamente azzurro, un azzurro intenso, perfetto, senza sbavature, in forte contrasto con la tristezza della sua gente e il grigio delle macerie.
Il calore del sole aquilano mi ha riscaldata e l'aria dei contrafforti boscosi del Gran Sasso ha accarezzato il mio cuore, gonfio di tristezza.
Ho partecipato ai lavori della stanza "Biblioteca" per una ricostruzione possibile…
Ho ascoltato la musica malinconica delle parole delle donne che al di là del dolore risuonava di un'energia vitale: presa di coscienza, partecipazione, legalità, trasparenza, sradicamento, impotenza, solitudine, controinformazione, necessità di tessere e ritessere relazioni, desiderio di riprendersi a piene mani, sia la loro vita, che la loro città.
Ho riconosciuto le parole della politica istituzionale: potere, litigi, vile denaro, interessi, macerie e miseria umana; tra le une e le altre: una distanza abissale.
Nei cuori delle donne aquilane ho colto lo scoramento, la tristezza, il dolore per i loro morti, qua e là rari, esili fili di speranza.
Nelle loro parole tanta sfiducia, indignazione, disillusione nei confronti delle istituzioni e della politica tradizionale: ne sono rimasta sconcertata.
Ho toccato con mani lo spessore della complessità, il suo timbro, la mancanza assoluta di linearità.
Una matassa intricata quella del "chi fa che cosa", responsabilità, ritardi, ruoli e competenze istituzionali ancora da definire, un piano della ricostruzione ancora da mettere a punto.
Ho conosciuto la linfa più dolce e il deserto più desolato.
Abbiamo visitato i monumenti ridati alla vita, opere di grande stupore nel vuoto aquilano: la basilica di Collemaggio, la fontana delle 99 cannelle … ,
…nella lunga vasca tuffano, sbattono e torcono i panni, le lavandaie cittadine: membrute e manesche, pronte al battibecco e alla rissa, ma allegre e faticatrici e cantatrici di stornelli in cori arditi e lenti, dove si effonde quel tono di fiera e accorta malinconia…
scriveva il poeta aquilano Giovanni Titta Rosa, che una volta emigrato a Milano, della sua città scriverà: "… ma la nostalgia è sempre per quella vallata, per quei boschi, per quella terra magra e tufacea dove in primavera fioriscono ciliegi e peschi e gli uccelli fanno festa a mio padre agricoltore che pota le viti del colle, vicino a casa…"
Quando, tornata al calore della mia casa, ho avuto la possibilità di riflettere mi è sembrato di riconoscere il sapore di quella nostalgia, qualcosa di indecifrabile me lo rendeva familiare.
Ho pensato al gesto accurato nel sistemare la piega della tovaglia, alla frenesia dissennata con la quale ogni giorno compio acrobazie per far coincidere ogni impegno, all'amore per la mia casa e per la mia terra.
Una morsa ha stretto il mio cuore e un nodo alla gola ha avuto il sopravvento. Dinnanzi a me l'immagine delle donne dell'Aquila che, nelle loro case, prima del sisma, ripetevano le mie stesse azioni: piccoli gesti quotidiani, a volte spogli di significato, spesso ripetitivi ma di grande valore quando ne vieni privata.
La storia, presuppone la necessità di saperla ascoltare, la dobbiamo reinterpretare sulla scorta degli errori commessi e non possiamo perdere la speranza.
E allora, coraggio donne aquilane!
Sorgerà ancora il sole, la vita rinascerà, le relazioni ci terranno unite e l'Aquila tornerà a volare.
Itala "La Rosa e la spina"
L'Aquila: viaggio di emozioni e sentimenti forti
Il Gruppo
Il nostro gruppo mi piace. È un gruppo "morbido". Sta accogliendo le persone, ne assorbe gli spigoli e ne esalta le capacità. C'è rispetto e voglia di stare insieme, c'è creatività, voglia di fare, mi ci trovo bene. È stato bello anche condividere il viaggio con le veronesi che hanno simpaticamente saputo accettare la nostra irruenza e la nostra allegria.
L'Aquila
La città è distrutta, desolante, offesa. Abbiamo assorbito la disperazione, il dolore, il senso di perdita di queste donne arrabbiate che cercano di reagire. Ma come? I problemi sono così grandi! (speriamo almeno di aver alleggerito un poco il loro dolore).
La cosa ingiusta è aver tolto la parola a chi vive l'incubo della perdita, ridurre le persone a gregge spaurito e senza diritto di reazione, di progetto. L'unica cosa che mi viene in mente è di essere loro vicine e dar voce alla loro voce.
Visitando la città e i dintorni si coglie la dimensione del disastro, reso ancor più grave dalla bellezza di ciò che si è perso. I palazzi attraversati da crepe, le chiese svuotate, i vicoli intransitabili, i calcinacci, la selva di tubi Innocenti e di travi che impediscono il crollo definitivo testimoniano insieme la violenza del sisma e la difficoltà della ricostruzione. Il silenzio della zona rossa comunica l'impotenza, la continua presenza di transenne e militari l'espropriazione.
Non so cosa si potesse fare di diverso, non sono un'esperta. Sono certa che qualsiasi fosse stata la scelta di intervento, si sarebbe comunque dovuto fare i conti con tempi lunghissimi e sacrifici enormi (di vita e di parti della città).
Non giudico le scelte, ma le modalità sì, perché se si interviene dove c'è dolore bisogna essere integerrimi e concordi. A L'Aquila questo è venuto meno e le istituzioni ne sono uscite a pezzi (Kant: tratta sempre i tuoi simili come fini e non come mezzi).
Continuo a trovare offensiva e inaccettabile la modalità di azione, l'esclusione sistematica ad ogni livello della popolazione dalle decisioni,l'aver agito senza creare luoghi e situazioni di incontro e discussione (la gente non è stata privata solo delle case, ma anche delle piazze, delle sedi delle associazioni, dei salotti, ecc.), l'aver reso così più acuti e definitivi l'isolamento, la solitudine e il lutto degli aquilani.
La visione notturna della chiesa di Collemaggio e la visita alla fontana delle 99 cannelle si sono rivelate due piccole isole di bellezza e di conforto. Un segnale positivo della possibile ricostruzione, un messaggio di fiducia che attenua il dolore testimoniato dalle fotografie dei morti e dalle chiavi di casa appese alle transenne.
Claudia Diversamente occupate blog
Carissima Nadia, volevo ringraziarti per l'occasione che ha significato per me Terre Mutate. Grazie a te e alle aquilane per aver trasformato una città ferita in una casa accogliente. Grazie per il caloroso abbraccio che è arrivato, per gli spazi che si sono aperti nella mente e tra i corpi. Terremutate e L'Aquila mi hanno smosso dentro una serie di cose tanto che adesso mi sento una 'terremutata' anch'io. Nonostante il poco tempo è stata un'esperienza forte e insolita che continua ad esistere anche quando finisce. Perché non finisce... Ne scriverò, ne scriveremo. Un forte abbraccio a te e a tutte.
Din Padova: Gabriella, Antonella e Luciana
Care donne dell'Aquila, presto vi manderemo le nostre impressioni e i nostri pensieri sulle giornate passate insieme,ma ora vi ringraziamo per l'opportunità che il vostro lavoro ci ha dato di incontrare in un contesto veramente difficile tante donne . A presto Barbera, Giuliana,Manuela, Mariella,Lucia .
Donne100celle&dintorni
Ciao Grandissime. Volevamo Ringraziarvi per la bellisima iniziativa di sabato e domenica, abbiamo avuto un bellissimo week end insieme a voi e alle altre compagne di tutta italia, appena ho pronto il link delle foto invieremo
8 maggio 2011
Mapi
Carissime, un breve resoconto per ricordare la potenza della chiamata, a livello nazionale, delle donne aquilane e nostre amiche Din. Qualcuna ha ricordato che la Menapace diceva che “le donne danno il meglio di sé nelle situazioni di emergenza” e in questo caso le aquilane hanno dato molto e visto che c’è ancora molto da fare, credo che anche noi dobbiamo impegnarci con loro di più. Dicono: “ la morte ci è passata vicino, per molt* di noi il peggio non è accaduto”. Enorme, però, è stato il carico di rabbia che hanno dovuto gestire, …. , lentamente, dalla rabbia sono passat* alla rassegnazione … e con la scoperta della creatività hanno fatto miracoli, creando sinergie e nuove relazioni.
Abbiamo trascorso insieme due giornate armoniose e a loro dico grazie per quanto hanno organizzato con tanta cura. Le Din romane presenti hanno dato un contributo che anche altre potranno versare alla prossima occasione quando arriveranno a L’Aquila i GAS (Gruppi Acquisto Solidale) per un incontro che le nostre Din ci comunicheranno. La casa col fiocco viola è la futura casa delle donne delle terre mutate, per la quale abbiamo espresso la nostra preferenza per la scelta del nome, se ricordo bene tra: Le Donne di maggio / Laquiladonne / Casa mutata. Un abbraccio, Mapi
PS: Invierò altre foto nei prossimi giorni essendo troppo pesanti.
Stefania Rossi
ciao Nadia, ciao tutte. vi ringrazio di quello che fate. è stata una giornata molto bella e importante. non potevo perderla... grazie